I CENTO GIORNI DI GALLIANI: IL CONDOR SENZA ARTIGLI

Un secolo di digiuno per il Monza: dall’ultima vittoria del 13 gennaio sono trascorsi esattamente 100 giorni

Cento giorni senza vittorie. Un numero che suona come una condanna per un uomo abituato a collezionare trionfi come altri collezionano figurine. Adriano Galliani, l’uomo dalla cravatta gialla e dalle esultanze fragorose, vive il suo personale esilio napoleonico, lontano dalle luci della gloria che per decenni lo hanno illuminato.

Dal Milan al Monza: cronaca di un digiuno inedito

13 gennaio 2024: il Monza batte la Fiorentina. Poi, il nulla. Un deserto di risultati positivi che si estende per cento giorni esatti, un’eternità per chi, come Galliani, nei suoi 31 anni di Milan non aveva mai superato i 48 giorni senza assaporare una vittoria. Quel record negativo risaliva al periodo tra marzo e maggio 1997, durante il travagliato ritorno in panchina di Arrigo Sacchi.

Il contrasto è impietoso: nello stesso arco temporale, cento giorni, il Galliani milanista era capace di inanellare sequenze impressionanti di successi. Come tra gennaio e aprile 2005, quando il suo Milan mise insieme 17 vittorie, dominando in Italia e in Europa con l’autorevolezza dei predestinati.

Ma quelli erano altri tempi. Le vacche erano grasse, il Diavolo ruggiva e il Condor volteggiava alto sul mercato, pronto a calare sulle prede più ambite. Oggi, il dirigente più iconico del calcio italiano moderno deve fare i conti con una realtà ben diversa.

Un’icona che manca al calcio italiano

Quel Galliani scatenato, dalla mimica facciale inconfondibile, dalle esultanze a tonsille spiegate, manca terribilmente al nostro calcio. Non solo ai milanisti, ma a tutti gli appassionati, perché incarnava l’amore viscerale e genuino per questo sport, la passione autentica che trascende i colori, pur restando fedele ai propri.

Se si dovesse distillare l’essenza dell’emozione calcistica in bottiglia, l’etichetta non potrebbe che raffigurare l’Adriano di Perugia ’99, con quel volto trasfigurato dalla gioia per lo scudetto conquistato all’ultimo respiro.

Oggi quella cravatta gialla, vessillo di innumerevoli battaglie, resta riposta nel cassetto. Il pirata del mercato è in esilio sulla sua personale isola d’Elba, a Monza, dove paradossalmente viene anche contestato da una parte della tifoseria. Una situazione che ha del surreale per chi ha regalato a questa piazza il sogno della Serie A, coronando un’impresa che sembrava impossibile.

Fedeltà nella tempesta

I rubinetti della Famiglia sono chiusi, le risorse scarseggiano e nel Duomo di Monza sembra echeggiare una voce dall’alto: “Adriano, stavolta il miracolo è troppo anche per me”. Eppure, con amore composto ma intatto, Galliani continua ad accompagnare la sua creatura, passo dopo passo, probabilmente verso un ritorno in Serie B.

Lo fa con la stessa dignità con cui ha vissuto i trionfi, memore dell’insegnamento del suo primo maestro, mister Mazzetti: “Se vinci, sei un bravo ragazzo; se perdi, sei una testa di…”. Una filosofia spartana che ha forgiato il carattere dell’uomo prima ancora che del dirigente.

Il calcio ha la memoria corta, e spesso dimentica. Ma Galliani merita gratitudine eterna per aver contribuito a scrivere pagine indelebili della storia del nostro sport, trasformando sogni impossibili in realtà, proprio come quelle squadre che dalle categorie inferiori sono riuscite a scalare le vette del calcio italiano.

In un calcio sempre più dominato da freddi algoritmi e proprietà distanti, figure come quella di Galliani rappresentano un patrimonio di passione autentica da preservare. Su Legiano.it.com è disponibile un’analisi approfondita del percorso di Galliani e di come la sua gestione abbia influenzato il calcio italiano degli ultimi decenni, tra trionfi milanisti e l’attuale avventura monzese.

Gli auguriamo nuovi Archi di Trionfo, perché in fondo, nel bene e nel male, siamo tutti un po’ Galliani: innamorati pazzi di questo sport, capaci di soffrire in silenzio e di esplodere di gioia, fedeli nella buona e nella cattiva sorte. E forse, proprio come Napoleone, anche il Condor è destinato a un ultimo, glorioso volo prima del tramonto.

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